C’era una volta la cosiddetta sindrome del Dud o Dudding; una misteriosa occorrenza che pareva colpire di tanto in tanto alcune piante; queste, una volta forti e gagliarde, perdevano gradualmente vigore e vitalità fino a raggiungere un arresto della crescita e diventare completamente incapaci di produrre niente di degno, dunque morivano o venivano semplicemente buttate via in quanto ormai inutili.
Si trattava di un problema vago ed ambiguo, i cui sintomi venivano spesso erroneamente imputati a cause varie ed eventuali, ma era comunque conosciuto ai growers d’esperienza sebbene mancasse un consensus ampio e definito.
Lungi dall’essere un problema decifrabile ad occhio nudo né tantomeno il suo approfondimento una questione alla portata di una generazione di coltivatori che si muovevano in Modalità Stealth (™) nell’ombra di un contesto legale pronto a dispensare anni di prigione per la coltivazione di una pianta, é stato necessario comunque un decennio di semi-legalità o para-legalità perché qualcuno iniziasse a trovare la quadra di questo strano fenomeno.
Cos’è un viroide?
I viroidi sono agenti infettivi di una semplicità assoluta; simili a dei virus, i viroidi non possiedono neanche un corpo ma consistono piuttosto in una semplice molecola di RNA. L’RNA, così come il DNA sono acidi nucleici, ed assieme a proteine, carboidrati e lipidi costituiscono le quattro principali macromolecole essenziali per tutte le forme di vita conosciute. I viroidi infettano le cellule dell’ospite e le usano per riprodursi, causando contemporaneamente un danno alla stessa.
I viroidi infettano i vegetali, e si trasmettono principalmente per via meccanica (attrezzi infetti, insetti succhiatori etc) ma anche attraverso semi e pollini.
Il Viroide Latente del Luppolo, individuato per la prima volta nel 1988 (Putcha et al.) in una pianta di Luppolo (la seconda Cannabacea più amata al mondo, Ndr) ed inizialmente considerato come un patogeno di minore rilievo, tuttavia successive ricerche suggerivano che lo stesso potesse avere un importante impatto sul raccolto e sulla produzione di metaboliti secondari (Adams et al. 1991, Barabra et al. 1990, Matousek 1994). Tale impatto su produzione (resa) e metaboliti sembra essere ancora più pronunciato nella Cannabis.
Alla categoria dei metaboliti secondari appartengono peraltro i pigmenti, i terpeni ed i cannabinoidi, solo per citarne quelli di maggior interesse tra gli addetti ai lavori.
Come si manifesta?
Come anticipato, la forma e la misura in cui questo patogeno incide sulla Cannabis fanno si che sia facile confonderne i sintomi con quelli di semplici carenze o con quelli di altri patogeni.
Un ingiallimento fogliare sovrapponibile a quello di una carenza di Azoto sembra essere molto comune, ma questo può anche presentarsi come una clorosi generale. Crescita stentata e piccole deformazioni fogliari sono molto comuni, ma tra tutti il sintomo che ho trovato più evidente ed indicativo é quello di una fragilità/debolezza generalizzata che si manifesta in particolar modo nella parte bassa della pianta; a partire dalla prima biforcazione ed in corrispondenza del colletto sia il fusto che i rami assumono una consistenza più affine a quella di una carota e pertanto si spezzano o cadono con la semplice pressione di un paio di dita.
Molto caratteristica é poi una tendenza della pianta a “coricarsi su un lato”, e dei rami a crescere in maniera orizzontale.
In fioritura la pianta mostra un costante declino nella sua performance; durante l’arco di un anno o meno una pianta può passare dal produrre fiori dalle dimensioni di una palla da tennis a quelle di una palla da golf, per poi passare a quelle di una pallina di calcetto balilla e poi di una biglia. Nella sua fase finale di contagio, la pianta può produrre poco o nulla che possa essere definito come fiore, e cessa di reagire agli stimoli climatici rimanendo di un verde generico, senza peraltro produrre né resina né profumi di alcun tipo.
Nella nostra esperienza una pianta può raggiungere lo stadio terminale di contagio dopo circa un anno o meno dalla prima infezione, ed il progredire del contagio é notevolmente favorito dalle condizioni climatiche calde, mentre si rallenta con il freddo.
Dulcis in fundo, il contagio può essere anche completamente asintomatico.
Come posso sapere se le mie piante sono contagiate?
Al di là della corretta attribuzione dei sintomi sopra descritti l’unico test possibile per verificare la presenza di HpLVd consiste in un’indagine di tipo genetico. Come se non bastasse, all’interno di una stessa pianta in certi stadi del contagio alcuni rami possono risultare del tutto sani mentre altri sono già affetti. Sono poche le strutture in Italia che possono condurre gli esami volti a verificare il contagio di questo patogeno.
Come si cura?
L’unico approccio possibile attualmente conosciuto consiste in trattamenti termici a basse temperature durante un passaggio di clonazione in vitro e comunque non é efficace nel 100% dei casi. Alcuni ricercatori hanno provato a coadiuvare i trattamenti termici in vitro con la somministrazione di antiretrovirali come la Ribavirina, con risultati variabili. Si tratta in ogni caso di un processo molto lungo (1 anno e più) e dispendioso (anche solo per testare la presenza del patogeno) e che non offre garanzie di efficacia riguardo l’eliminazione dello stesso.
L’HpLVd ha dimostrato di essere trasmissibile attraverso il polline o il seme in circa il 10% dei casi nel Luppolo, mentre non esistono dati certi riguardo la Cannabis ma le evidenze circostanziali non sono certo incoraggianti in questo senso.
Test di valutazione sulla trasmissibilità da una pianta madre infetta verso il seme da essa prodotto sono attualmente in corso.
Come é possibile evitarla o quantomeno tenerla sotto controllo?
Di buono c’è che é possibile tenere la situazione sotto controllo eliminando le piante infette, evitando la presenza di insetti succhiatori come gli afidi che passando da una pianta infetta ad una sana estenderebbero il contagio, e sopratutto adottando un protocollo sanitario solido; sterilizzando gli attrezzi con acido peracetico, attribuendo ad ogni pianta madre un paio di forbici personali per la produzione di talee, utilizzando lamette e superfici sterili ed in assoluto limitando quanto più possibile il potare, tagliare, intaccare o incidere in alcun modo diverse piante utilizzando gli stessi attrezzi.
Conclusioni.
Come nostro costume parliamo per esperienza e no, purtroppo nemmeno questa esperienza l’abbiamo trovata sullo scaffale di un supermercato. Al contrario, ci é costata piuttosto la perdita completa del nostro catalogo di varietà, acquisite nel corso di due anni di attività a fronte di enormi spese, lavoro e sacrifici.
Tutto perduto; volato via, come una piuma al vento.
Credo basti questo per offrire una visuale di quanto concretamente insidioso possa essere questo patogeno, ed é per questo che abbiamo ritenuto di condividere tutte le informazioni in nostro possesso perché la comunità possa essere messa al corrente sul tema e chissà, magari che la consapevolezza così acquisita possa aiutare a contenere il danno.
Quella del Viroide Latente del Luppolo é di certo una lezione che noi non dimenticheremo.